Una leggera pressione al volante e giro a destra: abbandono il fiume delle automobili e mi inoltro per un rettilineo. La frazione Brenta, il Lago di Caldonazzo: quel punto oltre il Villaggio S.O.S. Irrompe il silenzio, il traffico è solo un brusio lontano. Il pontile è deserto: Wolfgang ci aspettava lì. Una cascata di riccioli biondi e due occhi azzurri pieni di curiosità: a volte venati da ombre. Gianni sfiorava con la barca il pontile: lo prendevo in braccio e lo tiravo a bordo. Non si poteva perdere nessun attimo: non c'erano più nè libri nè tecnologia, nè regole. E neanche domande senza risposta. Il Lago si apriva al piccolo Wolfi: e come tutti i bambini passava da un'emozione all'altra. Stupore per quel palmizio nascosto, pianto per il fagiano morto annegato nel canneto: brivido per le diverse andature della vela, il mezzo che fece rimpicciolire il mondo. Paura per l'antica leggenda e letizia per la compagnia dei gnomi e delle fate. Le magie e gli incanti del Lago: quello che il pittore Prati descriveva con i suoi colori. La chiesetta medioevale di San Cristoforo ci attendeva: il campanile di S. Caterina ci avvisava che era mezzogiorno. L'Albero di Giuda era lì: imponente e solenne. Cosa può mangiare un decenne (e pure gli adulti)? "Fisch and chips", naturalmente. La nascita del vento, gli ultimi fremiti di felicità: un'infanzia senza famiglia porta traumi incancellabili. Ma i Santi di prima ti porteranno sicuramente una vita piena e serena. La vela è tornata sul Lago: chissà se proverai la "Sensucht" del tuo grande connazionale. Scende la sera: i due grandi cigni bianchi gli strappano un grido di ammirazione ammarando in modo perfetto, Virgilio e Biancolina sono un inno all'amore e alla bellezza, alla grazia. I gabbiani hanno abbandonato le boe: il cavallo di Faliero nitrisce nel bosco di castagni. Sulla spiaggia ci viene incontro il grande lupo bianco che l'aveva adottato durante l'estate. Troppe ore e troppe emozioni: gli occhi gli si chiudono. Là dove nasce il fiume. E dove rifiorisce la speranza...
Blu52
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…lei…era arrivata da poco… …dal cielo… …quella sera… …uscendo da un ristorante… …e passando sotto un arco di pietra… …le cinsi le spalle… …si abbandonò fiduciosa… …in quell’istante…capii… …che non sarei più stato solo… …e che…avremmo sempre vissuto assieme… …adesso...il ristorante non c’è più… …non abbiamo più rivisto quell’arco… …ma ogni mattina che mi sveglio… …e la rivedo… …si rinnova…la magia di quel momento… …l’incanto…
…dedicato alla mia compagna di vita e di lavoro… …in occasione del suo compleanno… …Jolanta Anna Koleczko… (…Joleckuvna…Joletta, , , …Jola...ti voglio bene… …grazie di esistere… …bambina mia…)
Il sole aveva abbandonato metà del Lago e risaliva verso i contrafforti montuosi. Una parte della superficie dell’acqua e della terra stava raffreddandosi velocemente. La brezza impalpabile si formò nell’entroterra, all’altezza del suolo, e andò verso il centro del lago. Il terminale era una piccola penisola, dal nome che evocava fantasia mista a poesia: Punta degli Indiani. Nel sottofondo, vedendo il campeggio vuoto, sembrava ancora di sentire i rumori dell’estate ormai finita: giochi di bimbi, risate, richiami. Adesso il lago è diviso in due parti: una parte di acqua che racchiude ancora calore, l’altra in ombra che va raffreddandosi rapidamente. Combattono: è il nostro piccolo Capo Horn. In un punto che cambia sempre anche se in modo impercettibile, la superficie dell’acqua si increspa, forma un gorgo, un mulinello. La brezza si alza, si rafforza: viene verso di noi, ci accarezza il viso, gonfia le vele. Anche in questa giornata abbiamo assistito a un piccolo, grande miracolo. La nascita del vento…
(...per Dida: con tanti auguri anche se, purtroppo, un pò in ritardo...)
Sono le sette ma il traffico è già incominciato da tempo. Le autobotti che vanno a caricare a Marghera: questa statale è denominata "la via del petrolio". L'inverno sta finendo e il motore principale delle attività, l'edilizia, sta scaldando i motori: passano i bilici e gli autorimorchi di laterizi provenienti dalle fornaci venete, favorite in questa attività dallal conformazione del suolo. Si lavora ancora all'interno e quindi saranno carichi di tramezze, poi cambierà il tempo e si passerà a fare le strutture delle case, le "scatole"; e cosi ci sarà bisogno dei laterizii da muro, più larghi e compatti. Adesso sfrecciano sull'arteria i camioncini leggeri e veloci degli artigiani provenienti dal popolato e laborioso Veneto: muratori, piastrellisti, idraulici. Prima del nostro capoluogo si congiungeranno ai pendolari degli uffici e sotto le gallerie si formerà la coda. La statale della Valsugana in gran parte del suo tracciato è diventata superstrada: ma non basta perchè ha quasi il traffico di un'autostrada e poi ci sono sempre i "colli di bottiglia" come strettoie, curve, attraversamenti dei numerosi e piccoli abitati. Durante il giorno il flusso si stabilizza: si aggiunge qualche sciatore isolato, le avanguardie dell'esodo di Pasqua verso il mare. A fine settimana si muove il "popolo della notte": qualche mazzolino di fiori lungo il percorso segnala tragedie familiari, personali e sociali. Pure c'è posto per qualche anima persa che vende illusioni d'amore. Al posto delle antiche "frasche" di austroungarica memoria, delle vecchie "osterie" per camionisti ora di solito ci sono paninoteche per adeguarsi ai ritmi cambiati e ai tempi dimezzati. La strada non riposa mai: ma cambia sempre...
Con l'ora legale quando arrivo e apro il cancello del piazzale c'è ancora la semioscurità: sulal schiera dei pini alla sommità del grande scavo che delimita il piazzale si vedono delle ombre muoversi. Con le nuove nevicate, arrivate fino a metà montagna, i caprioli sono tornati al piano: puntuali all'alba e all'imbrunire vengono a brucare in mezzo agli alberi, coi sensi all'erta ad ogni rumore o odore sospetto. Cerco di far piano ma è inutile: Bikotto arriva abbaiando risalendo il pendio. Mi verrebbe voglia di fargli saltare la (prima) colazione a quel lazzarone (Jola direbbe "gonzo", bullo) ma lui segue solamente il suo istinto, scusa non valida per i cacciatori: adesso c'è anche "Neretto" comparso ieri pomeriggio, complice l'ennesimo automobilista "distratto" (gentile eufemismo per non dire parolacce al mattino presto!). Si accoda anche lui ma non è facile per un bassottino cacciare un capriolo sull'erto: adesso albeggia, le ombre sono scomparse... (...buon martedì...)
Per i trentini il Lago di Caldonazzo è semplicemente il Lago (“el lac”); forse perché rappresenta un essenziale riassunto di tutto il nostro paesaggio ma fin dal 1.200 nei documenti veniva citato così. E’ il più grande lago della regione: il Lago di Garda, caro a Goethe, è compreso solo in parte nei confini della stessa. Come dicevo, c’è la sintesi del nostro Trentino: è circondato dalle colline, oltre si vedono i monti imbiancati dalla prima neve; quando finisce lo sguardo, in alcuni casi, si intuisce che l’irto di queste vette si digrada ancora nel piano orizzontale degli altopiani. Mi sento vicino a questo lago più che altri: : ha dato origine alla mia Valle, la Valsugana e al suo fiume, il Brenta. Qualche dato: sorge a 449 metri a livello del mare, è lungo 4.735 m. e largo 1.870, profondo 49. La sua formazione recente è data dallo sbarramento di conoidi ad opera di rii e torrenti ma quella antica risale allo sprofondamento di una vasta zona limitata da due linee di frattura: a sud dalla “linea di Belluno”, a nord dalla “linea della Valsugana”. Trent’anni fa le acque si erano ammalate per vari motivi: c’erano presenza periodica di un dato tipo d’alga , detta “Oscillatoria rubescens” (dai rivieraschi chiamata spurga del lago), trasparenza ridotta a meno di un metro, morie di pesce. Alcuni interventi tecnici, mirati e continuati nel tempo, gli hanno restituito la salute: adesso ha un bel colore azzurro, meno del mare, ma sempre affascinante… Nel 1881 invece si voleva prosciugarlo interamente per far passare in mezzo la ferrovia della Valsugana: per fortuna non si è fatto niente ma era una convinzione, profonda e diffusa, espressa dall’Ingegner Conci in un suo libro e illuminante del pensiero della società di quel tempo. I canneti di San Cristoforo sono stati dichiarati fin dal 1988 “biotopo di interesse provinciale” ed è un bene perché più che per la flora costituita da Cannuccia di palude, lembi di bosco formati da Ontano nero e da una rigogliosa popolazione di Ninfee (queste ultime introdotte a cura dell’Ente Parco) sono importanti per il riparo ottimale di molte specie di uccelli acquatici: Svasso maggiore, Porciglione, Tarabusino, Folaga, Germano reale e non poche altre specie di uccelli che si vedono durante l’inverno e le stagioni migratorie. Questo è il Lago di Caldonazzo, secondo la scienza naturale: ma la leggenda, per la sua origine, racconta altre cose…
L'acqua che ti ristora, ti rigenera: ti accarezza le labbra screpolate, ti dà piacere, sollievo e felicità. Il rumore scrosciante di una piccola cascata che scende dalle rocce, nascosta nel bosco: la più bella musica del mondo. Lo sciaquio dello scafo nel silenzio di un lago: quando la vela ti offre sentimenti celesti. Il fiume che porta la vita: che avvicina popoli, civiltà. L'impeto dei torrenti in piena: la natura che grida al cielo la sua ribellione. Le onde del mare che si infrangono contro gli scogli: il suo ritmo, il suo respiro , il respiro del mondo. L'acqua: questa sconosciuta...
Ven Mar 16, 2007 ...Candle in the Wind...
La fiamma della candela ondeggia, si allunga: sembra spegnersi. Il crepuscolo favorisce la meditazione, il pensiero ritorna al passato. Guardo la foto di mia nonna sulla lapide: riposa assieme a sua figlia scomparsa in giovane età. Ha il suo solito viso sereno, come quando ci lasciò giusto 16 anni fa. Ha vissuto le grandi tragedie collettive del Novecento: un secolo grande e tragico. Le due guerre mondiali, il lungo periodo da profuga nel centro Italia. Oltre ai dolori personali, familiari: alla fame e alle privazioni di ogni genere. Questo non le impedì mai di amare il prossimo: di volerci bene sempre, comunque e dovunque. Non ci si rassegna mai a non poter parlare con le persone amate: e, soprattutto, a non avere risposta. Le avrei detto poche cose, semplici. Che il sole sta riscaldando la terra e fra poco sarebbe giunta l’ora di seminare l’orto. Che il mulino sul torrente non c’è più: quello a cui si arrivava, prima di entrare a piedi nel paese, in quei magici pomeriggi d’estate. Che tanta gente è disorientata, ansiosa: forse vorrebbe certezze, provare vere emozioni ma trova solo offerte di facili sensazioni. Sta scendendo l’oscurità, il vento di marzo si affievolisce: le candele brillano più intensamente mentre la montagna vicina sembra si protenda su questo piccolo cimitero per proteggerlo. C’è pace, silenzio ma non abbandono: le tombe sono curate con l’amore e la dedizione della gente di montagna. Quante storie di persone, di sacrifici, di ansie, di sudore: adesso tutto tace e le battaglie della vita sono finite. Le candele resistono, non vogliono spegnersi: sono il simbolo dei nostri ricordi, della nostra struggente nostalgia, di un tempo e un passato che non ritornerà più. Rimane solo la speranza di potersi incontrare un giorno.
Mentre per ora posso solo mettere una candela al vento…
Il bambino esitava: la mamma, sorridendo, gli dette una piccola spinta di incoraggiamento. Era orgogliosa della sua sensibilità: nel compito di classe, aveva scritto che voleva dare la libertà al suo pesciolino rosso. Il momento dell’addio era giunto: le acque del lago erano appena increspate dalla brezza serale, il sole era scomparso da poco all’orizzonte. Si abbassò, rovesciò la boccia di vetro: il pesciolino rimase immobile per un istante, come per salutare, poi si allontanò. Lui aveva letto che proveniva dall’Estremo Oriente: Cina, Giappone. Lei aggiunse: poverino, chissà se si adatterà, così piccolo e grazioso! Non abbia paura, cara Signora: il suo pesciolino è molto forte. Resiste ad acque povere di ossigeno, e con temperature elevate: in inverno va in letargo. Di frequente i suo compagni raggiungono la maturità sessuale già il primo anno: e depongono migliaia di uova. Le femmine possono accoppiarsi con la carpa: in virtù della “ginogenesi”, la discendenza di tali incroci sarà costituita da solo femmine, col patrimonio genetico delle madri. Molti bambini seguono l’esempio di suo figlio: tante associazioni, fornite di grande entusiasmo ma di minor cognizione di causa, fanno numerosi ripopolamenti con questa specie. Il “carassius auratus”, il carassio dorato: in dialetto trentino “carass”, pess ross”: possono mutare il rosso in una bella livrea bronzeo-verdastra e si chiameranno così solamente carassio. Ne ha fatta di strada, il debole pesciolino: adesso si trova numeroso nei laghi trentini, nelle acque delle campagne, dappertutto! Come si dice? Le strade dell’Inferno…
La luce…quel guizzo che intravidi negli occhi dell’hostess, parigina purosangue, che ci accoglieva a bordo. Quella che illuminava la collina di Parigi, la “Butte”; quel fascio che seguiva la pendenza, rischiarava il “Coniglio di Gilli” e l’ultima vigna: quintessenza dell’amore dei francesi per la terra, rispetto della tradizione e, perché no?, con un occhio anche sempre puntato al “business”. La luce che illumina quella sinfonia di pietra che è “Notre Dame de Paris”, un urlo possente che sale al cielo, mentre le “Chimere” controllano la piana. Sempre quella stessa luce che staglia quel sublime arabesco di ferro che è diventato il simbolo di Parigi; la Tour Eiffel si slancia verso l’alto: “La Pastorella che visita le nubi”. La luce che illumina “Les Invalides”: bende insanguinate, corpi straziati, urli e lamenti continui. Gli occhi che vagano nella pazzia, nel ricordo di mille battaglie: e altrettante carneficine. La stessa che rischiara le vetrate del Louvre, monumento al pensiero creativo, lo sfondo contro cui si staglia “L’Arc de Triomphe”: sembra di risentire la terra tremare sotto i passi cadenzati della “Grande Armeè”, nel sottofondo del rullo di tamburo che suonava la carica di cento e cento battaglie, in tutti gli angoli del mondo. La luce di gioia che traspare dagli occhi di Jola, mentre visitiamo i luoghi della “Vieille Citè”: sorgente che alimento con carezze e baci continui. Perché se Venezia è la patria degli innamorati, Parigi lo è anche degli amanti: e noi abbiamo timbrato il passaporto per entrambe le categorie… La Grande Amante: che ospitò rifugiati ed esuli politici da tutti gli angoli della Terra, che con il Grande Corso fece tremare il mondo e che con i suoi incomparabili artisti: poeti, scrittori, pittori lo fece commuovere, intenerire, appassionare. Da questa pianura ci fu il sanguinoso inizio della luce della democrazia. Oh, come vorrei che queste povere, piccole, inadeguate parole scritte facessero provare a chi le legge un sentimento, un emozione: palpitare l’anima, vibrare il cuore, aprire la mente. Cos’ha fatto, se non questo, da sempre questa incomparabile città? Un sospiro d’amore, un sospiro d’odio: l’estasi, la dannazione, il tormento, la felicità da far svenire; tutte queste emozioni sono state provate da tante persone, in ogni tempo; passando a Saint Germane dè Près, sembra di risentire la voce arrochita e sensuale di Juliette Grèco, in una delle tanti notte passate a cantare nelle “caves”. Il mio sembra, e lo è, uno scritto lungo, caotico, confuso: ma non lo sono sempre le vere, autentiche dichiarazioni d’amore? Luce di divertimento: quella che si intravede negli occhi di uno “chef” dell’Atelier di Robuchon mentre mi dice che il loro locale è una piccola trattoria. Un clochard litiga con una compagna di sventura per un riparo per la notte, parla tra sé e sé: ricorda il passato, mentre dal presente è escluso e il futuro è così precario! La luce è scomparsa dagli occhi di una donna troppo truccata mentre mi invita a visitare un locale a luci rosse di Place Pigalle: è rimasto solo la vendita del corpo, mentre l’anima è smarrita… Victor Hugo non c’è più, non può parlarci dei misteri di Parigi: da quando, ancora studente, leggevo affascinato “Rocambole” è passato tanto tempo ed adesso il “mètro” serve solo a smistare gente… Luce di disappunto quanto siamo sulla via del ritorno, di sollievo quando rivedo la Laguna e Venezia: la Città d’Acqua. Luce e acqua: due elementi essenziali, due Città. Due piaceri…
Ven Mar 09, 2007 ...al di là del fiume, fra gli alberi...
Perchè mi viene in mente il vecchio Ernst? Forse perchè dalla mia finestra vedo il sole abbandonare lentamente il mio fiume: la Brenta. Gli ultimi raggi accarezzano l'acqua corrente: pagliuzze luminose che formano un nastro lucente e continuo. Fa da filtro una lunga schiera di alti e slanciati pioppi. La differenza di temperatura del suolo fra poco mi farà arrivare dentro la mia stanza la brezza di superficie. Mi ricorderà la stagione della vela che inizierà fra qualche settimana. Mi rinfrescherà, mi porterà il profumo della nuova stagione. Mi renderà più lievi le ore di lavoro.
Al di là del fiume e fra gli alberi...
Dom Mar 04, 2007 ...la vera musica...
Non era racchiusa in quel vecchio e polveroso teatro che prende vita solamente una volta all'anno.
In quella bella città, stanca e nostalgica, che non riesce mai a essere all'altezza del dolce clima e del mare che la circonda.
Non lo è in quelle figure di mestieranti stanchi e avidi: nè nelle eterne promesse.
Non lo sarà in quelle fatue canzonette che saranno presto dimenticate.
La vera musica nasce dal cuore, viene alimentata dall'anima, nutrita dallo spirito: e il ritmo lo detterà la nostra mente,
Caro. caro amico mio: che dire? Il tuo cartello emana un soffio di...non trovo le parole, aiutatemi, "por favor!". Non lo sai che la "migliore gioventù" è impegnata nei "castings". E il "fior fiore" andrà in quei, quei ehm "spettacoli" dove dormono, blaterano e copulano in diretta? E i superstiti, dopo la trentina, incominceranno a darsi da fare seriamente studiando "danza e canto"? Ne vale la pena, sai? Vedi come quel bellino esemplare di "simmenthal" svizzera ha aggirato la nostra seria (o seriosa) finanziaria? Su, su: tiralo via e fai come tutti... Contatta quell'indirizzo dell'Estremo Oriente: la globalizzazione è bella e conveniente, sai? Per chi sa prenderla dal verso giusto...: come dici? E io: io rompevo i c..anche nel '68, rammenti? Mai poratto un eskimo: ma una calda, vecchia giacca fatta a mano...col materiale di cui non so farne proprio a meno... Quale? L'amore, balengo direbbe quella maestrina piemontese...
Ven Feb 23, 2007 ...lettera per un invitato mai arrivato...
Caro Bruno,
ricorda di ringraziare Donatella ma non perdere l’anima andando a quella conferenza. Ti ricordi l’ultima volta? Dopo dieci anni (tu hai il ritmo dei cinesi antichi) sei tornato ad ascoltare una conferenza: sbagliando! Il traffico di quella nostra valle, un’autostrada mascherata da superstrada. Non ti ricordavi più il posto dove sorgeva quella “cattedrale nel deserto”: costruita con i nostri sudati e sofferti oboli. Parcheggiato in un paese vicino che ormai è diventata periferia del capoluogo: non avevi il numero di quei vampiri che per lo stesso prezzo ti sballottano un terzo del percorso che faresti nella fascinosa “Ville Lumière”: sissignori, sto parlando di quella dannata cooperativa (trentatre trentini che girano per Trento come la vecchia filastrocca: adesso l’incanto è spezzato e sono diventati 34). Arrivail seguace di Dracula, lo frusto per accelerare (ci sarà di sicuro un sovraprezzo…), guardo con ansia l’orologio e entro trafelato scusandomi e annunciandomi alla “reception” (si dice così, c’era una ragazzina che si guardava lo smalto delle unghie: finte come quasi tutto di questo “mondo cane” come direbbe il vecchio regista di quel datato documentario. Mi fiondo in sala e mi guardo intorno smarrito mentre il silenzio e la solitudine mi avvolgono come un sudario: sono il primo! Poi finalmente incominciano ad arrivare alla spicciolata i primi ritardatari. Per tanti è un modo di passare una giornata diversa dal tran-tran dell’ufficio: poi inizia la liturgia… Sono in tre: li guardo con l’occhio spassionato dell’entomologo perché già conosco le mosse successive. Il vecchio volpone (funzionario prossimo alla pensione) presenta gli altri due e porta i saluti del Presidente, impossibilitato a venire e papatì patatà direbbe il compianto Brel: poi si eclissa con un ghigno sardonico che vorrebbe essere un sorriso. La mia vicina prende freneticamente appunti (?) scrivendo su un librone appoggiato sulle sue (tornite) ginocchia: per me sta arrivando il nemico numero uno, la noia. Il secondo tira avanti una mezz’ora e trova il modo di rompermi i c…scusate di interpellarmi per chiedermi sul perché ero arrivato qui. La tentazione di rispondere: non lo so!!! è molto forte: ma sono un uomo civile o civilizzato, purtroppo, così fra un “ehm” e uno strasichio di piedi dico l’argomento che vedo sul notiziario della mia vicina (bionda artificiale oltre che secchiona, la frustrazione si aggiunge alla noia). E cado con la faccia nella palta: era l’argomento scorso…Mi siedo sotto una coperta di sguardi divertiti, commenti sarcastici: la mia vicina si allontana un po’, forse l’ignoranza è contagiosa. Mi salva il terzo della congrega: questo povero sherpa annuncia che non è ferrato in materia (e ti pareva!), così cambia l’argomento e inizia con postulati, grafici, tabelle in merito al risparmio sulla produzione industriale (sic): in mezzo al gruppo di grossisti (al dettaglio e al minuto) di COMMERCIANT. Dal gruppo di tapini seduti nell’aula fornita dalla categoria (ma pagata naturalmente da noi) si leva un sommesso brontolio: sta cominciando la rivolta degli schiavi e io mi sento tutto Spartaco. Ma non serve: la salvezza arriva sotto forma in quelle due paroline della lingua dell’impero, sotto il piccolo bush: “coffee break”. Undici meno un quarto: come l’intervallo a scuola! Mi alzo di scatto, stringo la mano dello sventurato e farfuglio una scusa: lui mi guarda con un sorriso d’intesa. Galoppo lungo la statale: entro nel centro commerciale( e questo può darvi l’idea a che punto ero ridotto). Prendo un corroborante “red passion” e dopo vado subito nel vicino negozio di articoli per cavalli(in mezzo a due “shop center: ci sarà qualche simbolismo nascosto?). Vado a trovare il mio vecchio dentista: ha cambiato moglie e gli è rimasto ancora il denaro per aprire un maneggio: lui è un grande. Accarezzo quella bellissima cavallina di Hafling che ha un nome che mi stordisce di felicità: “Freiheit”. Lei nitrisce, mi appoggia il muso contro: non posso bambina venire con te, vorrei ma non posso. La accarezzo e mi purifico della contaminazione di quel luogo di prima: pieno di corrotti e corruttori. Come mi diceva quel vecchio turcomanno una generazione e mezza fa, quando girava con quel gruppo di di fatati cavalli di Genghiz per il Cadore: “per onorare Dio basta tenere un cavallo e tutti i peccati saranno perdonati.” Freiheit nitrisce e annuisce convinta…
Mi dispiace per la prima cosa. Nel senso che non succeda: ci saranno gravi conseguenze. Per la seconda ci sarebbero tante cose da dire... La visione della politica, la dignità... Tante cose: molte, forse troppe... Lo spirito è stanco, disincantato: disilluso. Il pensiero va a De Gasperi: alla sua casetta in una piccola valle incantevole e meravigliosa poco lontano da dove abito... Al paltò rivoltato di De Nicola: e a tutte le esternazioni, le arroganze, le auto blu... Ai vari e ripetuti: " lei non sa chi sono io!" A volte, come il grande Ernst, si invocherebbe l'oblio, il distacco, il filtro. Anche a costo di qualsiasi prezzo...
Gio Feb 22, 2007 ...la luce del prato...
Il movimento. Anche d’inverno il prato è sempre in movimento: batteri, larve, insetti nella profondità del terreno e l’instancabile lombrico che lavora la terra… Il profumo. Quello intenso, stordente e struggente della salvia selvatica in fiore in primavera , nelle sterminate praterie americane… Il colore. Il colore dei campi di lavanda in estate in Provenza, il colore di tanti pittori, che fa dimenticare per un attimo il dispiacere di tanti boschi bruciati… La luce. Ma sopra tutto, e tutti, risplende una luce. Un fiore umile ma bello, gentile:”Leucanthemum Vulgare”. Ma tutti noi lo conosciamo col suo nome eterno e suggestivo:
Perchè accendo il computer e sento il bisogno di compilare questo scritto? Forse il motivo è che non lo farei mai: perchè la cucina è come la musica. Ti avvolge, ti pervade, ti conquista: non ti abbandona mai. Quel sugo di vongole...cosa c'era dietro? Anni di lavoro in cucina a rubare, a sperimentare... Lasciate stare le ricette, poveri di spirito: ci sono lacrime, sudore e sangue e tanto, tanto tempo... Il figlio Fernando, mi sembra si chiamasse come l'"osteria con cucina" di Cornuda mi disse che quella domenica mattina, come sempre, era tutto occupato...ma se volevo stare fuori in veranda poteva servirmi. Accettai: i sapori della Laguna e poi il suo acuto...quel sugo, quelle vongole veraci in mezzo...l'inverno era inverno, a non sentivo niente, assaporavo e gioivo. Sentivo la musica di quella cucina, conoscevo cosa c'era dietro e, mentalmente, la ringraziavo. Il Re dei Sensi: ancora adesso sento il sapore della sua cucina. Una grande donna senza volto, senza nome: la Signora delle Vongole...
Non si tratta del profondo Nord ma di un’isola incantevole: la Sicilia. Dove, verso la fine del ‘700, una famiglia di calabresi si insediò a Palermo aprendo una modesta drogheria. Vent’anni dopo, quest’isola e questa città furono un centro mondano, finanziario ed economico internazionale: e i Florio la famiglia più grande, potente e rappresentativa. Non è facile immaginare quel periodo, il periodo del “liberty” a Palermo: l’esplosione della “Belle Epoque”. Dobbiamo cercare di farlo evocando i nomi più rappresentativi, osservando le stampe dell’epoca, leggendo le cronache. Ignazio Florio intraprese svariate attività, dando impulso commerciale e finanziario all’isola. Con un’altra grande famiglia fondò la più grande compagnia di navigazione: poi ci fu la pesca del tonno, la produzione del zolfo, del marsala, della ceramica; la fonderia, le filande, la fattoria. Ogni campo del lavoro, della produzione e della coltivazione fu esplorato, valorizzato da questo antesignano dei moderni capitani d’industria. Odore di benzina, notti bianche per vedere la partenza: l’alba sul mare e poi il fascino selvaggio delle Madonne; la Targa Florio, la gara automobilistica più antica e permeata di fascino per il paesaggio che attraversava, per gli eventi mondani che richiamava. Vincenzo Florio era un tipico “gentlemen” sportivo con la cultura per lo sport, l’amore per il rischio e la passione per le gare sportive. Donna Franca: senza di lei, questa icona di bellezza, fascino, lusso e mondanità che dominò per trent’anni la Palermo dei salotti, dei ricevimenti, delle feste da ballo e delle grandi rappresentazioni teatrali questa saga sarebbe ridotta a semplice ascesa e caduta di una dinastia. Le foto dell’epoca ci rimandano a lei: la sua figura flessuosa, gli occhi nerissimi e lucenti da autentica bellezza del sud, un diamante sfavillante e incantatore. E il contorno: gioielli straordinari, abiti sfarzosi, viaggi sugli yacht del marito e soggiorni nelle capitali europee. E’ il tramonto di un epoca: ma è un tramonto dorato che fino all’ultimo invierà raggi di sole purissimi, di una bellezza abbacinante. Poi il destino seguirà il suo corso: l’industria andrà al Nord, la politica si fermerà nel centro mentre per il sud incomincerà una deriva di lenta, inarrestabile decadenza che continua tuttora… (Per Rossella)
Abbandono la Valsugana e lascio sola Jola in ufficio: la noia non è solo un'esclusiva del compianto "Avvocato". Il paese è Paese ("schuldigung" per questo gioco di parole): Margherita è appassionata e appassionante. Importa carni pregiare: Angus irlandese, carne austriaca e anche la Regina. L'argentina: una trasgressione (ma non la sola...) del mitico Omar (Sivori per i non calciofili). "Casteo": Castelfranco Veneto non mi riserva altrettanti piaceri. Le "schie della laguna" sono datate: un pò truccate con l'amuchina, diciamo. I "Puros" (sigari cubani, fatti a mano per i non viziosi) nel supposto "Paradiso del Fumo" sono fatti a macchina e conservati male. Adriano alle "Mura" deve limitare i suoi spostamenti nelle Isole Figi per cercare di frenare la deriva: aumento del prezzo e diminuzione della qualità. Nella Piazza intestata al celebre pittore le ci sono le giostre: come il titolo dell'ultimo libro di Terzani... Bisogna farsi forza, vincere il pessimismo imcombente che suggerisce il fosco paesaggio e fare... un altro giro di giostra.
Ven Feb 16, 2007 ...colpo di clackson...
I due “bisonti della strada” si incrociano: lampeggianti, agitare di mani e un robusto colpo di clakson. Mio padre li guarda scomparire in lontananza: immagino cosa pensa. Nove volte su dieci se quei due autisti si incontrassero al mattino presto all’interno di un locale della trafficata superstrada si scambierebbero a malapena un cenno di saluto, poi ognuno beve il suo caffè, paga, saluta e se ne va. “On the road” è diverso: c’è l’immagine, il suono, il movimento e si può anche fare bella figura a poco prezzo. Lo spartiacque è nebuloso e tutto sta in quelle tre paroline dolci e tremende al tempo stesso: “basta il pensiero”. Così ogni gesto può essere interpretato come un moto istintivo, nobile dell’animo oppure come un mezzo per farci risparmiare tempo e fatica. Il lieve rumore che mi segnala l’arrivo di un sms: una persona, una volta a me vicina, che non sento da tanto tempo. Un ramoscello d’ulivo, una richiesta d’aiuto? La risposta sta solo nell’animo di chi l’ha inviata e d’altro canto non è giusto fare un processo alle intenzioni. Il silenzio deve essere riempito ad ogni costo, anche pochi attimi: l’annunciatore parla sempre più rapidamente, i partecipanti al “talk show” si accapigliano per parlare e nessuno ormai ascolta più. La comunicazione di massa; ma la gente ha paura del “contatto ravvicinato più semplice e naturale: un cenno d’intesa, una parola, una frase scritta. Come il “comune senso del pudore” il dialogo inteso come vera comunicazione umana, personale ha assunto confini sempre più indistinti: e lontani…
1. Il Pane: qui essere messi a pane e acqua potrebbe essere non una punizione ma un premio. 2. La lingua: un alfabeto di 32 simboli, una fonetica che comprende concetti come quello di vocale nasale e parole avarissime di vocali ma pazzamente ricche di consonanti. Un esempio limite (ma non troppo) è “zmarszczka”, che significa ruga: come quella che ti viene sulla fronte pensando a come diavolo leggere siffatto grafema. 3. La campagna polacca d’estate, tra l’oro dei campi di grano e il verde dei boschi. 4. La campagna polacca d’inverno, tra il grigio del cielo e il bianco della neve e delle betulle spoglie. 5. Le strade principali di molte città e paesi , una volta intitolate ai fondatori del marxismo, che ora portano il nome di un Papa (indovinate quale): l’ironia della storia al suo meglio. 6. La vodka: di segale, di grano, di patate, liscia, aromatizzata, alle erbe, alla frutta, al pepe: i polacchi devono usare nove lettere per dire “bacio” (pocalunek), ma gliene bastano cinque per dire “giù tutto d’un fiato” (do dna): a voi trarre le conclusioni! 7. Il palazzo della Cultura e della Scienza a Varsavia, “dono” di Stalin al popolo polacco: dalla terrazza panoramica del trentesimo piano si gode forse della migliore vista di Varsavia (secondo i polacchi perché quello è l’unico punto in cui il palazzo stesso non si vede). 8. Il centro storico di Cracovia, ovvero come una piazza quadrata di 200 metri di lato può essere intima e familiare come il salotto di casa propria. 9. “Ulica Mariacka” a Danzica: una delle strade più ricche d’atmosfera del mondo, e un autentico paradiso terrestre se vi piace l’ambra. 10a (per le donne). Il baciamano: la Polonia è forse l’unico Paese in cui sopravvive questa tradizione, e non è raro vedere operai o contadini sfoggiare nell’occasione l’”aplomb” di un Pari del Regno. 10b (per gli uomini). Le donne: se da bambini avete mai immaginato l’aspetto delle fate delle favole, potreste scoprire di avere in realtà sognato una cassiera, un’impiegata o una studentessa polacca…
Era lontana durante le prime gare con l'amico d'infanzia. Quando lo scoprì il meccanico: e lo valorizzò l'industriale. Non c'era mentre pescava col nonno: o scherzava con la fidanzata. E piegava le Alpi, facendo impazzire i tifosi. Cominciò quel mattino quando l'ombra gli nascose il sole: il piacere della gara. Si ingigantì durante quelle notti folli e disperate nella sua Riviera. Quelle frasi sul passaporto: il tentativo di un testamento dello spirito. Finì quella sera di tre anni fa nel giorno degli innamorati. Ebbe finalmente un termine quel dolore senza pause, quella sofferenza senza fine. Più tardi ci sarebbe stato posto solo per la dolcezza dei ricordi... Lun Feb 05, 2007 ...il mio sci...
Ci si metteva d'accordo per andare in macchina: oppure in corriera. Erano sci lunghi con attacchi non molto perfezionati, scarponi pesanti. Si facevano ancora i corsi sci: e si sciava su neve vera. La velocità era rapportata alla capacità: in ogni istante ci si poteva fermare, all'occorrenza. L'avvicinarsi alla meta era graduale, si gustava il paesaggio: adesso è pericoloso distrarsi, per i continui sorpassi. Si porta lo stess, la fretta anche in un giorno, su un posto che dovrebbe essere dedicato al rilassamento, al piacere dello scivolamento. I rifugi avevano pochi piatti ma tutti gustosi: salsicce, goulash, panini con buoni insaccati e formaggi di malga. Anche il mio sci aveva un buon sapore...
Sab Feb 03, 2007 ...il gioco più bello del mondo...
Un pugno di case in Calabria. Un piccolo stadio, due squadre di terza categoria. Un ribollire di sentimenti: non sempre nobili, purtroppo! Genitori che trasmettono ai figli l'ansia di vincere. L'ambizione dei dirigenti: le frustazioni dei tifosi. Tutto si concentra in quei novanta minuti. Poi l'arbitro scappa sotto la doccia: i cancelli si aprono. E' il caos: un uomo cerca di intervenire. Viene picchiato finchè resta a terra esamine. Fuggono tutti: anche gli amici. Il capitano dei carabinieri troverà solo un corpo immobile in una pozza di sangue. Il gioco è finito...